Giulio Perfetti
A che cosa dobbiamo la sua iniziazione al mondo dell’arte?
Scoprii di essere sensibile all’arte a cinque anni, quando mio fratello usò un mio disegno per soffiarsi il naso. Quel gesto mi segnò la vita, soprattutto fece nascere in me l’orgoglio di artista. Con il passare del tempo, spinto dagli insegnanti, decisi di coltivare le mie velleità artistiche iscrivendomi all’Istituto d’arte, una breve parentesi all’Accademia e poi l’ingresso nel mondo del lavoro: studi di architettura, laboratori di falegnameria, vetro e pietre dure, partecipazioni a numerosi eventi artistici del territorio e nazionali.
Quello che nutre per l’arte è un amore univoco o un matrimonio itinerante?
Non ho mai perso il senso ludico della ricerca. Sperimentando varie tecniche e materiali nel mio lavoro cerco di ripercorrere l’esperienze delle avanguardie storiche con la sana curiosità del nuovo, attualizzando o trasgredendo la tradizione. Sono molto attratto dal digitale, capace di metabolizzare emozioni quotidiane entro cornici globali. Considero la tecnologia uno strumento di scoperta personale e sociale, un ampliamento delle possibilità immaginative di ciascuno. Le partecipazioni in rete permettono lo scambio ed un continuo confronto al di là di ogni limite geografico o culturale. Per me è il vero esperanto, immediatamente comprensibile a tutti.
Crede che la sua arte possa trasmettere forme di conoscenza?
Gran parte del mio lavoro parte da una riflessione, anzi una meditazione, sugli archetipi comuni a molte civiltà del passato che continuano a fluire, incompresi, nel nostro immaginario: il simbolo dell’infinito, la spirale, il cerchio, il labirinto. Sono fonte di continua ispirazione proprio perché molteplici sono le loro valenze di significato. I simboli costruiscono l’architettura teatrale dell’esistenza umana ed il tentativo dell’artista è quello di spingersi sempre più avanti per dilatare all’infinito la ricerca della meraviglia attraverso peregrinazioni metaforiche.
Quale posizione riserva alla figura umana all’interno della sua opera?
L’uomo che rappresento è come ritratto nella caduta libera della percezione. E’ circondato da segni e da simboli, messaggi che provengono dalle situazioni esistenziali in cui è immerso, non domina la materia, non si staglia sullo sfondo, percepisce di esistere perché si pone delle domande. All’uomo, come al colore, riservo uno spazio ristretto, quasi claustrofobico e senza nessun appoggio. La distanza è il fulcro che mi impongo con rigorosa austerità, c’è sempre una infinita distanza dal senso le cose. Nelle mie creazioni ricorrono spesso i motivi della testa sospesa e del cono visivo, un richiamo forte all’attività introspettiva dell’uomo. La mia è una pittura che tende consapevolmente alla scrittura, ogni intervento è un segno linguistico che si sviluppa in un cammino parallelo a quello della poesia visuale.
Colore e forma, quale possibile soluzione di continuità?
E’ stato il dilemma delle avanguardie e continua ad esserlo ancora adesso che la definizione di arte si è estesa a tutti gli ambiti dell’ espressione umana. Le mie opere hanno una apparente composizione equilibrata ed armonica, dico apparente perché nascono comunque astratte. Cerco una pittura mossa e variegata, graffita a tratti e stratificata nel colore e nei materiali, così come è la storia dell’uomo.
Può definirsi un cybernauta felice o un rassegnato prigioniero della Rete?
La mia frequentazione della fotografia digitalizzata e dell’art-web è iniziata nel 2000, come prosieguo naturale della ricerca che stavo svolgendo nel Concettuale e contemporaneamente nella esperienza lavorativa di designer. La globalizzazione in cui siamo immersi fà dell’esistenza un eterno transito verso i ‘’non-luoghi’’, cioè verso ambienti e situazioni non più distinguibili perché altamente omologati in ogni angolo del pianeta, eppure la sfida che vedo nell’arte digitale è proprio quella di indagare la posizione ontologica dell’uomo nello spazio, il significato del suo relazionarsi all’ambiente in cui è immerso in una deformabilità e trasformabilità infinita.
A quali nuovi orizzonti intende aprire la sua ricerca?
Mi stimola molto l’idea di creare percorsi sensoriali per opere da costruire in fieri con un pubblico che interagisce come attore in luoghi non accademici, come spazi naturali di cui far rivivere la storia passata o contribuire ad esaltare la bellezza. Ho collaborato con musicisti, poeti, filosofi e artisti che come me sono aperti al dialogo e alla ricerca.
A questo proposito come è nata la collaborazione e il sodalizio con l'artista Serena Giorgi?
Da un incontro casuale in rete è nato il progetto di collaborare con il bisogno di ascoltarsi e di scambiarsi idee. Ne è nato un sodalizio che è prima di tutto unione di due persone che sanno dialogare con rispetto e che mettono a disposizione del pubblico il loro sguardo. Curioso e attento. Originale e ancora puro. Espressione di un’umanità delicata e rara.
Con questo atteggiamento umile e poetico vogliamo rendere accessibili cose, oggetti, particolari apparentemente invisibili o insignificanti, offrendo loro una nuova luce e quasi rivelando la loro anima interiore e nascosta.
In questa prospettiva, il nostro cammino artistico è alimentato da una autentica tensione verso la conoscenza. Un percorso di arricchimento interiore per superare i limiti e spostare l’orizzonte del conosciuto in avanti. Verso una dimensione intima, che rappresenta un orizzonte di libertà rispetto ai vincoli della vita quotidiana. Le idee iniziano così magicamente a prendere forma. Ad abitare grandi fogli, dove si dipinge, si disegna, si scrive. Scarabocchiando e cancellando. Delineando un itinerario mentale che fa lievitare la nostra immaginazione. Una via di fuga, che rappresenta anche un’alternativa esistenziale di libertà.
Insieme abbiamo realizzato: “Les possibilitès – labirinti mentali” (Centro di formazione arti visive Cecina – Luglio 2018), che è il racconto di questo percorso fianco a fianco, un viaggio tra smarrimenti e sorprese che prefigura la grande avventura dell’esistenza, e “Portami a cena”, un’opera installativa dedicata ai grandi temi dell’ambiente (Fuori Salone, Milano, Panoramix – Aprile 2019) che comunica la nostra visione dell’arte come catalizzatore e strumento di trasformazione della società.