Contaminazioni
A cura di : Rubina Giorgi
Contaminazioni , Spazio Arte PhotosoPhia, Montacassiano (MC)
dal 15 al 29 luglio 2007
Franco Mancini – Giulio Perfetti
E’ inevitabile domandarsi, o ridomandarsi, osservando le opere di franco Mancini in analogico e le opere di Giulio Perfetti in digitale e poi le cinque della loro collaborazione analogico-digitale, quale sia la differenza discriminante tra concepire artistico rispettivamente in analogico e in digitale.
Vi sono implicati, tra l’altro, forti problemi filosofici. Ma diciamo semplificando: se l’analogico è il continuo e il digitale il numerico o discreto, noi però scorgiamo immagini anche nel digitale; e per converso troviamo ordine, scansione e quindi numero e numerabilità di parti anche nell’immagine analogica. Forse occorre concludere che analogico e digitale non sono separabili se non parzialmente. Infatti i due artisti hanno sentito l’esigenza di provarne la contaminazione, e questa dà risultati interessanti: l’immagine viene allontanata, stranita, schematizzata; la forma digitale al contrario è avvicinata, almeno transitoriamente identificata al fine di stabilire con essa una sorta di dialogo rassicurante. L’immagine si trasforma in ulteriori possibili identità, e l’identità diviene un fenomeno migratile, non più fisso ma sempre nascente o iniziale.
Probabilmente una delle differenze che contano è questa: l’immagine nasce prima della sua traduzione sul mezzo, nella mente dell’artista, poi si precisa e si compie nel mezzo; la figura digitale invece è una sorpresa del processo, l’artista non sa cosa ne verrà fuori, e ne sarà sorpreso lui stesso come di un’operazione non tutta in proprio dominio. In questo senso, direi, l’azione digitale sta sotto il segno della fantasia più che del pensiero immaginativo. Senza però assolutizzare. L’artista del continuo misurerà la disformità del suo risultato dalla primitiva concezione mentale, resterà per lo più insoddisfatto di sé, la primitiva idea della sua mente finirà in flussi sfuggenti di senso. L’artista del digitale sentirà forse invece da meno la propria mente rispetto alla fosforescente potenzialità del risultato virtuale, in parte casuale e reversibile. Ciò per un verso, mentre per altro verso l’oggetto virtuale senz’ombra apparente diverrà esso proprio tutt’ombra: quindi sostrato da indagare per estrarne ipotetici nuovi ordini del mondo, anzi dei mondi, del vedere.
Ma qui non va trascurato un altro aspetto fondamentale: l’artista del digitale non potrà fare a meno di correre dietro a quella inesausta possibilità di trasformazioni fantastiche e perciò esperirà le proprie opere letteralmente come pane quotidiano, e l’arte sarà presenza che accompagnerà ogni momento della sua vita. Ora questo è ineludibilmente tale da riavvicinare ancora di più le due concorrenti procedure a confronto divenendone aspetto comune.
Ne nascerà un’arte continuamente trattenuta e continuamente fugace, evaporante – al modo in cui evaporano i giorni della nostra esperienza quotidiana dall’intero virtuale dell’esperienza stessa.
Vi sono implicati, tra l’altro, forti problemi filosofici. Ma diciamo semplificando: se l’analogico è il continuo e il digitale il numerico o discreto, noi però scorgiamo immagini anche nel digitale; e per converso troviamo ordine, scansione e quindi numero e numerabilità di parti anche nell’immagine analogica. Forse occorre concludere che analogico e digitale non sono separabili se non parzialmente. Infatti i due artisti hanno sentito l’esigenza di provarne la contaminazione, e questa dà risultati interessanti: l’immagine viene allontanata, stranita, schematizzata; la forma digitale al contrario è avvicinata, almeno transitoriamente identificata al fine di stabilire con essa una sorta di dialogo rassicurante. L’immagine si trasforma in ulteriori possibili identità, e l’identità diviene un fenomeno migratile, non più fisso ma sempre nascente o iniziale.
Probabilmente una delle differenze che contano è questa: l’immagine nasce prima della sua traduzione sul mezzo, nella mente dell’artista, poi si precisa e si compie nel mezzo; la figura digitale invece è una sorpresa del processo, l’artista non sa cosa ne verrà fuori, e ne sarà sorpreso lui stesso come di un’operazione non tutta in proprio dominio. In questo senso, direi, l’azione digitale sta sotto il segno della fantasia più che del pensiero immaginativo. Senza però assolutizzare. L’artista del continuo misurerà la disformità del suo risultato dalla primitiva concezione mentale, resterà per lo più insoddisfatto di sé, la primitiva idea della sua mente finirà in flussi sfuggenti di senso. L’artista del digitale sentirà forse invece da meno la propria mente rispetto alla fosforescente potenzialità del risultato virtuale, in parte casuale e reversibile. Ciò per un verso, mentre per altro verso l’oggetto virtuale senz’ombra apparente diverrà esso proprio tutt’ombra: quindi sostrato da indagare per estrarne ipotetici nuovi ordini del mondo, anzi dei mondi, del vedere.
Ma qui non va trascurato un altro aspetto fondamentale: l’artista del digitale non potrà fare a meno di correre dietro a quella inesausta possibilità di trasformazioni fantastiche e perciò esperirà le proprie opere letteralmente come pane quotidiano, e l’arte sarà presenza che accompagnerà ogni momento della sua vita. Ora questo è ineludibilmente tale da riavvicinare ancora di più le due concorrenti procedure a confronto divenendone aspetto comune.
Ne nascerà un’arte continuamente trattenuta e continuamente fugace, evaporante – al modo in cui evaporano i giorni della nostra esperienza quotidiana dall’intero virtuale dell’esperienza stessa.
L’artista, così, moderno o postmoderno Sisifo, dovrà intensificare parrossisticamente il proprio lavoro artistico.
Ma allora finirà l’arte domani col fluire, ciò che imperfettamente già fa, tutta quanta nella vita disciogliendosi in essa?
Rubina Giorgi
Contaminazione umoristica di Troiano