Esprit de finesse
A cura di: Gabriele Bevilacqua
Laborarorio41, via Maffeo Pantaleoni 41 Macerata
dal 27 maggio al 10 giugno 2017
Ho conosciuto Giulio in quel dinamico parterre di artisti e critici, che è il Laboratorio 41, animato con intelligenza da Alessandro Leanza.
In realtà, prima dell'artista, ho conosciuto le sue opere; sin da subito, mi ha colpito rigore e sforzo interpretativo, ben sopra il grosso della produzione in circolazione negli ultimi anni. Sul cosiddetto “meccanico dell’arte” non serve qui dilungarsi: l’operosità di Giulio parla di un’abilità qualificata dal punto di vista tecnico, una competenza del fare, che, svolgendosi, trova le sue regole interne - secondo l'attuale lezione del filosofo Pareyson. Ciò consente all’artista maceratese di ampliare il ventaglio di scelte espressive, fino a proficue escursioni, comprese le arti plastiche; sempre con quell’accuratezza strutturale e quella limpidezza concettuale, che conferiscono al prodotto una sua peculiare riconoscibilità.
L'abilità manuale diventa finezza di gusto, esprit de finesse. A cominciare dalla riflessione che l'artista fa della tradizione visiva novecentesca, muovendo da autori storicizzati come un Gastone Novelli o un Bruno Mangiaterra fino al lettering, che, usato senza un'amplificazione retorica e ampollosa, ricorda per primo la stagione del Cubismo, a cominciare dall'ovale del supporto in molte sue opere.
I rimandi però rischiano sempre di farci perdere la specificità dell'artista in questione e con essa le sue inedite possibilità. La categoria del possibile in arte andrebbe meglio sviluppata. Se l'arte è produzione di effetti riusciti e insoliti, d'immediata efficacia, non possiamo ridurre tutto alla maestranza di effetti. Occorre affiancare all’abilità tecnica quello che Argan definiva il "pensiero visivo", - giacché, l’esperienza estetica è pur sempre una forma razionale di conoscenza attraverso forme riuscite. Il possibile in arte è allora la misura fra effetti e pensiero, fra esperienza sensoriale prodotta e prodotto intellettuale.
Di fatto, l'arte di Perfetti è quella in cui l'esperienza è sempre filtrata da una forte componente riflessiva. Egli mette in atto una retorica di segni, suadente, piana. La tonica dei suoi lavori è un dispiegarsi attento su un fondo chiaro di forme geometriche. C'è un'eleganza ontologica, mai ampollosa, propria di un pensare la regolarità del mondo, la sfericità che si fa da una goccia, l'essenzialità che ridà il mondo in una formula o simbolo matematico. Un’eleganza che prende congedo da eccessi linguistici o da un bramare che sconfina nella follia (Sehnsucht).
A riguardo, c'è poi la dimensione antropologica dell’uomo collinare. Da queste nostre parti la riflessione sul mondo è, come ritroviamo in Giulio, una riflessione che scollina, non impreca, non è sovrumano dolore; guarda il mondo e alla fine abbraccia e tiene insieme l'infinito; sempre senza esagerazioni -anche il roboante e avanguardista Futurismo da noi, con Pannaggi e compagni, diventa più addomesticato e bonario: si veda certi 'burberi' ritratti di Cleto Capponi, per esempio Il re del Siam.
Così il linguaggio di Perfetti porta con sé, lentamente come un fiume, potenzialità attinte da lontani siti e nel trasportarle le lavora in proprio. Lontano dalla nevrastenia metropolitana, l'arte in provincia si distende, approfondisce e alla fine produce eccellenze maturate lentamente. Così è il lavoro di tanti artisti che hanno scelto luoghi più appartati rispetto al centro. Così lo stesso Perfetti. La ricerca in lui non può che aver tempi distesi e i tratti della eleganza sostanziale: luminosità di un saper fare elettivo, geometrismo come linguaggio dell’anima, riflessività che guida la mano e impedisce di oltrepassare il limite espressivo e viceversa la mano che impedisce di scadere nell’intellettualismo.
Questo mi pare lo spirituale, il meccanismo generatore di un autentico, un debordante che va ben oltre i soli addetti ai lavori. Di là dal dato filologico o di analisi semiologiche, una simile filosofia, nel suggerire interne possibilità e enunciati interpretativi, attrae. Chiama a sé collezionisti, estimatori, critici.
Quanto basta per prendere in doverosa considerazione una simile eccellenza.
Gabriele Bevilacqua, maggio 2017